L’attuale codice di procedura penale, promulgato nel 1988 ed entrato in vigore l’anno successivo, attribuisce al PM e alla difesa dell’indagato e della persona offesa, il monopolio dell’attività investigativa.
Al Pubblico Ministero è riconosciuto il dovere di indagare, anche a favore del soggetto iscritto nel registro delle notizie di reato, e di formulare eventuali accuse provando; all’indagato il diritto di difendersi provando, a condizioni che le indagini difensive non intralcino l’attività investigativa dell’organo inquirente.
Una delle manifestazioni più evidenti dell’attività investigativa è la consulenza tecnica, attraverso la quale il sapere tecnico-scientifico entra a fare parte del processo penale.
Alla consulenza tecnica c.d. extraperitale, ovvero fuori dai casi di perizia, si può ricorrere in ogni fase del procedimento penale, con l’evidente obiettivo di fornire al giudice, un apporto conoscitivo di tipo tecnico, in grado di contribuire alla corretta ricostruzione del fatto.
Si ricorre, invece, alla consulenza tecnica c.d. endoperitale, in occasione del conferimento dell’incarico peritale del giudice che dovrà adottare una qualche decisione, di tipo cautelare o di merito.
In questa sede ci soffermeremo brevemente sul ruolo dell’esperto tecnico di parte, alla luce dei recenti interventi della Corte di Cassazione, che valorizzano ulteriormente il contributo conoscitivo dell’esperto incaricato dal PM o dalla difesa.
Alla giurisprudenza di merito, decisamente minoritaria, che non ritiene di riconoscere al consulente di parte quel ruolo incisivo che il processo penale di tipo “accusatorio” suggerisce, si contrappone la giurisprudenza di merito e di legittimità, certamente maggioritaria, che, invece, valorizza il contributo conoscitivo dell’esperto, spesso determinante.
Risulta evidente che il contributo tecnico deve essere in linea con i dettami della comunità scientifica di riferimento, per garantire l’affidabilità dell’apporto consulenziale e per consentire alle parti e al giudice un percorso di verificabilità e di falsificabilità, sempre consentiti in ragione del principio del contraddittorio e della ricerca della verità che governano il processo penale sulla formazione della prova.
In argomento, si segnala il pregevole contributo rinvenibile in Cassazione penale n. 21018-2015: I pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di memoria scritta possono essere letti in udienza e possono essere utilizzati ai fini della decisione, anche in mancanza del previo esame del consulente qualora le parti non ne abbiano contestato il contenuto ed il giudice abbia ritenuto superfluo di disporre una perizia…L’immotivato rigetto dell’istanza di acquisizione di una memoria difensiva o l’omessa valutazione del suo contenuto determinano la nullità di ordine generale prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto si impedisce all’imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato..oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie…
Il tema è stato recentemente affrontato, negli stessi termini, in Cassazione penale n. 44623-2022.
La corte di legittimità ha annullato la decisione del giudice cautelare di rigetto della richiesta di modifica della misura cautelare, fondata sull’insorgenza di gravi patologie, documentate clinicamente e sviluppate scientificamente con apposita consulenza medico-legale commissionata dalla difesa, a dimostrazione della loro incidenza sulla capacità a delinquere dell’imputato.
Contrariamente ai giudici del Tribunale del riesame, che non hanno ritenuto opportuno valutare la consulenza della difesa siccome non aderente alle conclusioni della relazione medica carceraria, i giudici di piazza Cavour hanno ribadito l’obbligo del giudice di …motivare le risultanze della consulenza medica allegata dalla difesa… declinando il vizio motivazionale nella parte in cui la decisione difetta di un adeguato confronto con gli esiti compendiati nell’elaborato dell’esperto.
In altre parole, corre l’obbligo per il giudice di valutare rigorosamente gli esiti della relazione medica carceraria e della consulenza tecnica di parte, fermo restando la possibilità di aderire all’una o all’altra delle diverse conclusioni mediche, a condizione che il giudice fornisca un’adeguata motivazione delle ragioni della sua decisione.
La decisione appare in linea con le esigenze del processo penale, sempre più avido di quel sapere tecnico-scientifico fonte attendibile di informazioni non diversamente ottenibili.
Articolo di Avv. Giuseppe GERVASI (avvocato penalista) e Gaia GERVASI (ausiliario tecnico forense ISF) pubblicato su “Scienze Forensi Magazine” del 29/12/2022 – Diritti riservati