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Il decreto di archiviazione delle indagini preliminari e il divieto di ne bis in idem nella fase esecutiva.
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I problemi ermeneutici che affrontiamo necessitano di un richiamo preliminare agli art. 10 e 117 Cost. che, in ragione della loro stretta correlazione

I problemi ermeneutici che affrontiamo necessitano di un richiamo preliminare agli art. 10 e 117 Cost. che, in ragione della loro stretta correlazione e dei sempre più stringenti rapporti tra l’ordinamento nazionale e l’ordinamento sovranazionale europeo, hanno assunto una portata sempre più determinante nell’apparato costituzionale.

 

Dalla disciplina contenuta negli artt. 10 e 117 Cost. deriva l’indispensabile necessità di adeguare l’ordinamento giuridico interno a quello sovranazionale, attraverso un percorso di regolamentazione dei rapporti tra i due sistemi spesso molto difficile.

 

Non ci soffermeremo sul ruolo del giudice nei rapporti tra la Convenzione EDU come interpretata nel diritto consolidato della Corte EDU, né sul rapporto tra giudice comune e Corte costituzionale nel percorso di adeguamento alla normativa europea. In questa sede ci limiteremo ad analizzare una situazione concreta rispetto a questo difficile percorso ermeneutico, avendo come coordinate di riferimento il primo comma dell’art. 10, nonché il primo e il terzo comma dell’art. 117 cost. in essi risultando compendiati gli obblighi che il nostro ordinamento giuridico si è assunto rispetto a quello europeo.

 

Sono noti i casi in cui si è registrato un notevole ritardo dell’Italia a recepire la normativa europea, ovvero ad adeguarsi alle decisioni della Corte EDU per eliminare tutte quelle situazioni di possibile disparità di trattamento giudiziario dei cittadini italiani rispetto al resto dei cittadini europei.

 

È il caso della diversa portata sistemica del decreto di archiviazione del Gip, nella doppia ipotesi in cui al decreto di archiviazione non faccia seguito una riapertura delle indagini nei casi consentiti, oppure nella diversa e non rara ipotesi in cui per lo stesso fatto, oggetto dell’archiviazione, si proceda separatamente in diverso procedimento, per di più in assenza della riapertura delle indagini archiviate.

 

È noto che il decreto di archiviazione non è previsto dall’art. 669 cpp tra i provvedimenti per i quali è possibile invocare la disciplina del contrasto tra giudicati, sul presupposto che il decreto di archiviazione non conterrebbe in se il carattere della definitività tipico della sentenza assolutoria.

 

Non sono mancati i casi in cui il fatto oggetto del decreto di archiviazione e le relative fonti di prova siano stati successivamente acquisiti in altro e diverso procedimento, in particolare nei c.d. maxi processi nei quali è usuale seguire più filoni di indagine iscritti a diverso RGNR.

 

Ritorna centrale dunque la portata sistemica che spetta al decreto di archiviazione, la cui adozione è preceduta da una prima valutazione dell’ufficio inquirente e da una successiva valutazione del giudice terzo chiamato a decidere.

 

Sul tema si è registrato l’intervento della Corte EDU, che ha affrontato in modo specifico proprio il profilo della definitività della decisione. Il Giudice europeo ha valorizzato la natura di decisione definitiva del decreto di archiviazione, sottolineando che ciò che realmente conta è che la decisione conclusiva sia adottata da un organo che partecipi all’amministrazione della giustizia nell’ordinamento nazionale di riferimento, competente ad accertare ed eventualmente punire il comportamento illecito contestato ad un determinato soggetto.

 

A seguire si è registrato anche l’intervento della Corte di Cassazione che, in aderenza alla decisione europea, ha riconosciuto il carattere della definitività al decreto di archiviazione emesso dal pubblico ministero tedesco perchè egli partecipa all’amministrazione della giustizia penale secondo l’ordinamento interno di quel paese.

 

È innegabile che anche il pubblico ministero italiano e il Gip, a cui per altro è demandato di stimare nel merito il peso degli elementi di prova raccolti durante le indagini preliminari, partecipano all’amministrazione della giustizia penale italiana, ma questo non è sufficiente a preservare l’effettivo rispetto del divieto convenzionale del ne bis in idem, garantito anche dall’art. 4 del prot. VII della Convenzione EDU così come interpretato dalla Corte EDU, ovvero il diritto all’esecuzione della decisione più favorevole nel contrasto di giudicati tra sentenza di condanna e decreto di archiviazione.

 

In effetti, gli artt. 630 e 669 cpp sembrerebbero precludere, almeno  a  prima  vista,  la  piena  applicazione  in fase esecutiva del  principio  convenzionale del divieto di ne bis in idem, nella  misura  in  cui  non contemplano anche il decreto di archiviazione tra i provvedimenti definitivi capaci di generare un contrasto tra giudicati.

 

Da una parte, dunque, il disposto convenzionale in coerenza con l’interpretazione accolta dalla  Corte di Strasburgo che considera rilevante il divieto di ne bis in idem rispetto ad ogni pronuncia definitiva siccome adottata da un organo che amministra la giustizia, nei termini indicati dalla Corte EDU e fatti propri incidentalmente dalla Corte di Cassazione; dall’altra la vigente disciplina legislativa che preclude una diretta applicazione di una siffatta elevazione della portata del decreto di archiviazione.

 

Un impasse che necessità di un intervento additivo della Corte Costituzionale in grado di colmare l’incompatibilità che si è venuta a creare tra l’ordinamento italiano rispetto all’applicazione del principio convenzionale del divieto di ne bis in idem nell’interpretazione fatta propria dalla Corte EDU.

 

L’intervento del giudice delle leggi si rende necessario per un duplice ordine di ragioni: per la Corte di Strasburgo l’obbligo di conformarsi  alle  proprie  sentenze  definitive,  sancito  a  carico  delle  parti  contraenti  dall’art.  46, paragrafo 1, della CEDU, comporta anche l’impegno degli Stati contraenti a permettere la riapertura dei processi, su richiesta dell’interessato, quante volte essa appaia necessaria ai fini della restitutio in integrum  in  favore  del  medesimo,  nel  caso  di  violazione  delle  garanzie  riconosciute  dalla Convenzione,  particolarmente  in  tema  di  equo  processo;  al giudice è consentito solo interpretare la norma conformemente al dettato costituzionale e gli  è preclusa ogni forma di sindacato della legge e ogni forma di annullamento o disapplicazione, anche laddove  la norma dovesse apparire incompatibile con la Costituzione o con le decisioni della Corte EDU, risultando riservato alla sola Corte Costituzionale il dovere di valutare la compatibilità costituzionale di una legge.

 

Se, dunque, al singolo giudice non risulta concedibile una interpretazione  degli art. 630 e 699 cpp diversa da quella strettamente letterale, tale da ricomprendere anche il decreto di archiviazione tra i provvedimenti definitivi siccome adottato da un organo che amministra la giustizia secondo l’interpretazione logico-sistematica fatta propria dalla Corte EDU e da una parte della giurisprudenza di legittimità, l’unica strada percorribile appare dunque quella di una decisione additiva della Corte Costituzionale, che intervenga sugli artt. 630 e 669 cpp per eliminare una evidente disparità di trattamento giudiziario del cittadino italiano.

 

La prima questione di legittimità costituzionale deve concernere necessariamente l’art. 630, comma 1 lett. a) cpp nella parte in cui non si prevede che la revisione possa essere richiesta anche qualora i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna  non possono conciliarsi con quelli già stabiliti in un decreto di archiviazione pronunciato in via definitiva nei confronti della stessa persona e per il medesimo fatto, qualora la condanna scaturisca da un procedimento penale in cui non siano state osservate le condizioni di procedibilità poste dall’art. 414 c.p.p.

 

La seconda questione di legittimità costituzionale deve concernere necessariamente l’art. 669, comma 8, cpp nella parte in cui non si prevede  di  ordinare  anche  la  revoca  della  sentenza  di  condanna  e  l’esecuzione  del  decreto  di archiviazione, qualora i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli già stabiliti in un decreto di archiviazione pronunciato in via definitiva nei confronti della stessa persona e per il medesimo fatto, qualora la condanna scaturisca da un procedimento penale in cui non siano state osservate le condizioni di procedibilità poste dall’art. 414 c.p.p.

 

Avv. Giuseppe GERVASI

 

Pubblicato sulla rivista L'Eco Giuridico del 30/06/2023 - Riproduzione vietata.

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