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Il decreto di archiviazione delle indagini preliminari e il divieto di ne bis in idem nella fase esecutiva.
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DELITTO TENTATO E DESISTENZA VOLONTARIA. L’articolo 56, comma III, c.p. disciplina la desistenza volontaria, ravvisabile in tutti i casi in cui, il re

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La necessaria perimetrazione temporale della pericolosità sociale e la lettura costituzionalmente orientata offerta dalla recente sentenza della sez.

La necessaria perimetrazione temporale della pericolosità sociale e la lettura costituzionalmente orientata offerta dalla recente sentenza della sez. I penale n. 12329/2020 in materia di confiscabilità dei beni.
(intervento dell’Avv. Giuseppe Gervasi su news.avvocatoandreani.it del 27/04/2020).

 

Si segnala un recente interessante pronunciamento della prima sezione penale della Corte di Cassazione in materia di confisca di prevenzione antimafia, utile a delineare i confini di applicazione di uno strumento tanto efficace quanto invasivo: in difetto della correlazione temporale, la sproporzione di valori non dovrebbe nemmeno essere apprezzata in riferimento a beni la cui acquisizione non ricada nel periodo di pericolosità, posto che quest’ultima non può tener luogo della previa verifica della pericolosità soggettiva nel periodo preso in esame.

 

In altri termini, la sola sproporzione di valori, in relazione a beni acquistati al di fuori dell’arco temporale di manifestazione della pericolosità sociale, non legittima la confisca di prevenzione.

 

L’individuazione del periodo di manifestazione della pericolosità sociale, più comunemente indicato con il termine di “perimetrazione temporale”, rappresenta un presupposto indispensabile per l’applicazione della misura di prevenzione personale (Cass. Pen. Sez. 2^ n. 37603/2019), ma anche un requisito per individuare i beni suscettibili di essere colpiti dal provvedimento ablativo.

 

La sentenza in commento non è propriamente una novità nel panorama giurisprudenziale, ma si segnala per avere ribadito che i beni acquistati successivamente al periodo di manifestazione della pericolosità sociale possono essere oggetto di confisca di prevenzione a condizione che siano individuati, con adeguata motivazione, i dati di fatto consistenti e significativi della diretta provenienza di quei beni dalla illecita ricchezza accumulata in precedenza.

 

Per la Corte di Cassazione, la verifica degli elementi dimostrativi della provenienza illecita del bene acquistato successivamente al periodo di manifestazione della pericolosità sociale rappresenta un correttivo capace di scongiurare il rischio di agevolare manovre elusive, che procrastino l’utilizzo del denaro illecitamente accumulato ad un periodo successivo alla cessazione delle condotte illecite che ne hanno consentito l’accumulo.

 

Il recente intervento nomofilattico ha voluto circoscrivere ulteriormente i confini della confisca di prevenzione sulla scia di quanto già statuito dalle Sezioni Unite, che hanno definito la pericolosità sociale il presupposto ineludibile della confisca e la misura temporale della stessa, per cui solo i beni acquistati in costanza di quella pericolosità sono suscettibili di ablazione.

 

Si tratta indubbiamente di un’interpretazione delle norme contenute nel D.lgs 159/2011 più aderente ai principi costituzionali della libera iniziativa economica e della proprietà privata (artt. 41 e 42 Cost.) e più aderente ai principi convenzionali sovranazionali (art. 1, Protocollo 1, CEDU).

 

Anche la Corte Costituzionale si era espressa in termini con la sentenza n° 33 del 2018, statuendo che la «ragionevolezza temporale» risponde all’esigenza di evitare una abnorme dilatazione della sfera di operatività dell’istituto della confisca “allargata” e risponde all’esigenza di evitare un monitoraggio patrimoniale esteso all’intera vita del condannato anche per un singolo reato, che renderebbe particolarmente problematico l’assolvimento dell’onere dell’interessato di giustificare la provenienza dei beni tanto più quando l’acquisto del bene è particolarmente retrodatato rispetto all’intervento statale.

 

I principi basilari in materia di misure di prevenzione patrimoniali.

Introdotte per la prima volta nel 1982, le misure di prevenzione patrimoniali, hanno la specifica funzione di colpire i patrimoni accumulati illecitamente.


Hanno un inevitabile connotato preventivo perché adottate nei confronti di soggetti pericolosi di cui si vuole prevenire la commissione di reati e il reinvestimento dei capitali di illecita provenienza.

La finalità principale delle misure di prevenzione patrimoniali resta quella di sottrarre dal circuito economico i patrimoni illecitamente acquisiti e, dunque, su questi, e non su tutto il patrimonio del preposto indistintamente considerato, si deve concentrare la verifica dell’Autorità Giudiziaria procedente.

 

Il principio giurisprudenziale della stretta correlazione tra provenienza illecita e confisca è divenuto, nel tempo, costante e i principi che regolano il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, sono così riassumibili:

 

divieto di confisca preventiva a “strascico” (Cass. Pen. Sez. VI n° 8389/2016) perché la misura ablativa deve colpire solo i beni per i quali è stato accertato un imprescindibile nesso pertinenziale e temporale tra misura e pericolosità e l’illecita provenienza;

 

La finalità principale delle misure di prevenzione patrimoniali resta quella di sottrarre dal circuito economico i patrimoni illecitamente acquisiti e, dunque, su questi, e non su tutto il patrimonio del preposto indistintamente considerato, si deve concentrare la verifica dell’Autorità Giudiziaria procedente.

Il principio giurisprudenziale della stretta correlazione tra provenienza illecita e confisca è divenuto, nel tempo, costante e i principi che regolano il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, sono così riassumibili:

divieto di confisca preventiva a “strascico” (Cass. Pen. Sez. VI n° 8389/2016) perché la misura ablativa deve colpire solo i beni per i quali è stato accertato un imprescindibile nesso pertinenziale e temporale tra misura e pericolosità e l’illecita provenienza;

 

mero onere di allegazione e non di prova a carico del preposto (Cass. Pen. Sez. VI n° 41203/2017), poiché è la parte pubblica che deve dimostrare la sproporzione tra i beni patrimoniali e la capacità reddituale del soggetto, oltre all’illecita provenienza dei beni, mentre al preposto è riconosciuta la facoltà di offrire prova contraria, potendo il preposto soddisfare il proprio onere probatorio con la mera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei ad indicare «ragionevolmente e plausibilmente» la provenienza lecita dei beni.

 

Conclusivamente.

Nel solco di una giurisprudenza di legittimità consolidata, la soluzione ermeneutica offerta dalla decisione della prima sezione panale della Corte di Cassazione riassume il giusto equilibrio tra la necessità pubblica di garantire una lotta efficace ai patrimoni illecitamente acquistati e la necessità di tutelare le libertà costituzionali dell’iniziativa economica e della proprietà privata in uno al diritto di difesa.

(intervento dell’Avv. Giuseppe Gervasi su news.avvocatoandreani.it del 27/04/2020)

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